sabato 11 giugno 2011

Sulla situazione economica italiana. E non solo.

Dal sito Contro In Formazione:

Produzione quasi ferma sui livelli dell’estate 2010. Marcegaglia: fra qualche giorno incontreremo i sindacati
La fase di recupero dopo la crisi economica in Italia ha «frenato» dopo il primo semestre 2010. «La produzione industriale italiana è quasi ferma ai livelli dell’estate 2010», con un +0,1% di crescita media mensile da luglio 2010 a marzo 2011, «e dista dal massimo precrisi (-26,1%) ancora molto, -17,5%». Lo rileva il rapporto sugli scenari industriali del Centro Studi di Confindustria. «Il Paese – sottolineano gli esperti di Viale dell’Astronomia – rimane ad alta vocazione industriale ma spicca per la flessione dell’attività registrata nell’ultimo triennio (-17% cumulato), doppia o tripla di quelle delle maggiori concorrenti (peggio ha fatto solo la Spagna)». I nostri imprenditori «devono essere tre volte più bravi degli altri» per sopravvivere «in un contesto competitivo così carente», è il commento del direttore del centro studi, Luca Paolazzi.
Forza industriale nel mondo, Italia dal quinto al settimo posto
Per forza industriale «L’Italia è scalata dalla quinta alla settima posizione, superata da India e Corea del Sud, avendo perduto 1,1 punti di quota», rileva il Centro Studi di Confindustria. Che avverte: con una quota del 3,4% della produzione manifatturiera globale, l’Italia «è ora a solo due incollature sopra il Brasile, che viaggia ad una velocità molto più sostenuta».
Nella classifica la Cina, che «ha guadagnato 7,6 punti», con una quota del 21,7%, conquista la prima posizione (era seconda) scalzando gli Stati Uniti (15,6%). Con la crisi, «tre soli paesi avanzati sono riusciti a reggere allo scossone: Giappone, che ha conservato la terza posizione e ha addirittura migliorato la quota al 9,1%; Corea del Sud, che ha scavalcato l’Italia e si è portata al sesto posto ma con una quota calante dal 3,9% al 3,5%, e Australia, diciottesima, più tre scalini all’1%». «Solo il tempo – indicano gli economisti di Confindustria – ci dirà quali effetti avrà il terremoto di marzo 2011 sulle produzioni in Giappone. L’India ora incalza la Germania, forte di «una veloce espansione economica».
Confindustria evidenza anche le «rilevanti» perdite di quota di Stati Uniti (-2,6 punti), Francia (-0,9), Regno Unito (1,0), Spagna (-0,7), Canada (-0,5). Mentre «tiene l’Olanda (-0,1)». E «nel complesso l’Ue-15 scende dal 27,6% al 21,2% (-6,4 punti)».
Marcegaglia, a giorni incontro con i sindacati sulla rappresentanza. Sul caso Fiat «ragionamento in corso». E con la vittoria del sì sull’acqua il Paese tornerebbe indietro
«A giorni chiameremo i sindacati per discutere insieme una proposta sulla rappresentanza e l’esigibilità dei contratti». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, interpellata a margine della presentazione del rapporto del Centro studi sull’industria.
Sull’ipotesi di un’uscita di Fiat da Confindustria, la presidente di Confindustria ha sottolineato che «non lo sappiamo: a noi non risulta che sia una questione di ore. Come sapete è in corso un ragionamento».
Marcegaglia, poi, ha riservato un commento anche alle imminenti consultazioni referendarie, dicendo che con una vittoria dei “sì” ai referendum sull’acqua «torneremmo indietro di 20 anni e ci sarebbe una minore possibilità di crescita per il Paese e di creazione di posti di lavoro». In ogni caso, «i referendum non devono essere politicizzati».
I ministeri al Nord non sono primari, lo è la riforma fiscale
Infne, il capitolo dei possibili trasferimenti di ministeri al Nord: «Non è questo il problema dell’Italia. Riforma fiscale, investimenti, infrastrutture e liberalizzazioni sono i temi veri, che possono essere il motore della crescita del Paese», ha detto la presidente degli industriali. Per quanto riguarda l’aspetto fiscale, in particolare, Marcegaglia ha ribadito le richieste di Confindustria al governo: «Chiediamo che ci sia una riforma fiscale a parità di pressione fiscale che abbassi le tasse su lavoratori e imprese perché sono coloro che tengono in piedi il Paese». La riforma va fatta «aumentando magari di qualche punto l’Iva, la tassazione sulle rendite finanziarie e facendo una lotta all’evasione. Ci sono elementi per abbassare le tasse».
Marcegaglia ha anche ricordato che la manovra sui conti pubblici è necessaria, ma non bisogna agire con tagli lineari: «Abbiamo sempre pensato – ha detto – che ridurre la spesa pubblica e avere i conti in ordine è fondamentale. Crediamo che fare la manovra sia necessario, ce lo chiede l’Europa e i mercati finanziari ma non possiamo farlo con i tagli lineari». Secondo il numero uno degli industriali occorre, piuttosto, «tagliare i costi della politica, ragionare sulla pubblica amministrazione e sui costi del Welfare».
Bisogna avere il coraggio di fare scelte anche impopolari
«I temi delle riforme e della crescita sono quelli su cui lavorare seriamente e bisogna avere il coraggio di fare scelte anche impopolari», ha aggiunto Emma Marcegaglia. Viale dell’Astronomia non cambia le stime sulla crescita: «Rimaniamo intorno alla stima dell’1%, che però è troppo bassa – ha ribadito Marcegaglia – . Dobbiamo crescere ai almeno ai livelli dell’Ue. I dati ci dicono che stiamo uscendo dalla crisi meno bene di altri paesi. A livello di produzione industriale siamo al -17% rispetto ai picchi del 2008 mentre la Germania è al -4%. Bisogna avere grande attenzione al sistema manifatturiero in Italia, il sistema industriale produce il 30% della ricchezza e dà occupazione al 30% circa dei lavoratori e fa il 78% delle esportazioni».
fonte www.ilsole24ore.com
Approfondiamo ulteriormente una tematica che su Contro In Formazione abbiamo trattato in molti modi: le diverse sfaccettature che la crisi dell’Occidente ha riversato e sta riversando sull’Italia.
L’Italia è la nazione europea che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) avere un modello di sviluppo estremamente diversificato, oltre che ben ancorato in un ambito esclusivamente continentale e mediterraneo, ma che proprio in ragione dei dogmi del neo/liberismo globalizzato vede tali potenzialità frustrate da una competizione impari, e da un mercato che già ha deciso quanto debba (poco) pesare la nostra nazione nel futuro prossimo.
Ci fanno ridere i Draghi e le Marcegaglia che lanciano alti richiami sulle prospettive che l’Italia potrebbe avere (altro condizionale d’obbligo) in ambito planetario, se solo aumentasse in produttività e competitività similari a modelli asiatici.
Certi “signori”, e “signore”, di malaffare dovrebbero spiegare dai loro pulpiti dove fossero, quando gran parte dei distretti manifatturieri erano ridimensionati in ragione di logiche delocalizzatorie. Oppure dov’erano quando si distruggeva il ruolo del nostro mercato interno abbandonandolo a semplice territorio di caccia per merci estere con prezzi competitivi, prodotte con manovalanza/schiava.
L’Italia affonda con il resto d’Europa, con l’Occidente in generale, e ritenere che altre nazioni del Vecchio Continente siano in salute, solo per qualche punticino in più di Pil, rappresenta la foglia di fico che giustifica un voler scaricare il barile della disfatta SOLO ED ESCLUSIVAMENTE su di una classe politica senza spina dorsale, incapace e superflua quando fa comodo, da lusingare e foraggiare quando le tavole della legge del mercato devono essere applicate con il piglio di un principio di fede religiosa; vedi lo smantellamento delle tutele contrattuali e la precarizzazione dei posti di lavoro.
Noi riteniamo che non sia solo la classe politica attuale, o il sistema di welfare, ad essere una palla al piede della nostra nazione, ma sopratutto una visione del mondo non in linea con le reali necessità della comunità italiana, e dell’Europa tutta.
Noi siamo e saremo SEMPRE contro il mercato, e non solamente in modo teorico o retorico, ma contenutistico e sostanziale.
L’economia deve esser per noi mezzo e non fine, dunque costretta in ambiti che non ledano la centralità degli interessi nazionali, della priorità che spetta alla comunità nazionale nel suo complesso e nelle sue articolazioni.
Vogliamo un passo in dietro dell’economia in favore di valori e principi ben più importanti, capaci d’incidere positivamente sugli italiani e sul loro destino.
E se questo vuol dire uscire da logiche molto, troppo, alla moda sarà tanto meglio.
Noi non guardiamo alle trimestrali di bilancio, o a scadenze elettorali, noi preferiamo costruire per i secoli a venire, che certo non saranno come certa gentaglia ci prospetta dai suoi pulpiti e dalle sue posizioni di privilegio.
Gabriele Gruppo

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